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Comunicazioni sulla crisi o crisi di comunicazione?
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In quasi tutte le corrispondenze via email, i messaggi o le videochiamate da tre settimane a questa parte, c’è sempre qualcuno che dice: “Che periodo strano...”. E tutti gli altri partecipanti alla conversazione annuiscono col capo. Di fatto, sì, è un periodo davvero strano, un’esperienza che molti non avevano mai vissuto nell'arco della vita. 

Sebbene in passato abbiamo avuto a che fare con AIDS, SARS e MERS, il vasto impatto del COVID-19 riporta l’immaginazione all’influenza spagnola del 1918-1920, una delle più recenti pandemie a elevato tasso di mortalità che uccise 100 milioni di persone in tutto il mondo.

Le restrizioni al movimento dei cittadini oltre i confini nazionali, nonché all’interno dei Paesi stessi, e il razionamento delle forniture alimentari e domestiche sono molto simili alle misure che si adotterebbero in guerra. 

E se come termine di paragone abbiamo la crisi finanziaria del 2008-2009, va da sé che quella attuale assuma una dimensione maggiore. Sia la fornitura sia la richiesta di beni e servizi sono interrotte, centinaia di milioni di persone sono rimaste disoccupate e se ne risentiranno le ripercussioni in tutto il mondo per diversi anni a venire.  

Reagire in modalità crisi è naturale. 

Ma osservando i resoconti quotidiani, leggendo innumerevoli articoli sui media e facendo scorrere un’opinione dopo l’altra su Twitter, restano diverse domande, la più importante delle quali è: ci ritroviamo in mezzo a delle comunicazioni sulla crisi o a una crisi di comunicazione?

Qual è il punto chiave della comunicazione?

In normali circostanze, la comunicazione non è altro che una condivisione di esperienze, come interpretiamo gli eventi, come ci sentiamo, a cosa pensiamo e come esprimere un bisogno o un desiderio. Il punto chiave, o l’obiettivo principale, è quello di creare relazioni, collaborare per risolvere un problema o soddisfare una particolare esigenza.

Da quando l’umanità si evoluta da tribù di cacciatori-raccoglitori a società agricole e animati centri urbani, la comunicazione è vitale per trovare comunità affini, esprimere se stessi in modo creativo e migliorare la qualità della vita. 

Oserei dire che la normale comunicazione è rivolta al lungo periodo. 

La comunicazione in tempi di crisi, invece, implica urgenza. Ha come intento la risoluzione istantanea di un problema, la mobilitazione delle persone per un’azione immediata. Sebbene utilizzi le stesse componenti della comunicazione ordinaria (un mittente e un ricevente, un canale, un messaggio codificato, segnali non verbali), durante una crisi queste arrivano ad essere fino a undici. E ciascuna componente assume un livello di significato che non presenterebbe normalmente. 

Perché una buona comunicazione è così complicata?

Tutti comunichiamo quotidianamente, ma se ciò avvenga in modo efficace o meno rimane oggetto di dibattito. Nonostante accada a livello nazionale e internazionale, spesso può sembrare altrettanto difficile comunicare bene con chi ci è più vicino. 

The Book of Life, un’iniziativa promossa dalla School of Life di Alain de Botton, presenta un articolo molto interessante sulla difficoltà di comunicare con le persone intorno a noi. Ecco ciò che ne ho tratto... 

La comunicazione efficace riguarda la vulnerabilità. Si tratta di permettere a qualcuno di vedere la nostra confusione e viceversa. È attiva, richiede uno sforzo e può recare disagio. 

Risultiamo essere cattivi comunicatori perché proviamo paura o vergogna di quello che succede dentro noi stessi. Raramente disponiamo di modelli adeguati per una buona comunicazione. Ed è molto più semplice iniziare a vedere il prossimo episodio di una serie, lasciare un commento di sfuggita o una battutina e poi passare oltre. 

Reprimere l’emozione e il tormento di un timore piuttosto che sedersi di fronte a qualcuno e aprire il proprio cuore. 

La comunicazione efficace richiede l’accettazione dei propri pensieri, sentimenti e reazioni prima di presentarli ad altri. E poi di estendere loro la stessa cortesia. 

Sebbene la crisi sanitaria attuale sia (si spera) temporanea, la verità è che tutti si ritrovano ad affrontare delle crisi nel corso della vita, siano queste fisiche, mentali, emotive o relazionali; e comunicare in modo efficace può aiutarci a sopravvivere e prosperare anche in loro presenza. 

L’incertezza può portare a paura e confusione. E un tale mix tossico può generare un circolo vizioso costituito da pensiero-emozione-azione, in grado di trascinarci in una spirale senza fondo. La paura può agire come un virus, diramandosi senza alcun ostacolo attraverso le comunità, fisiche e digitali, e moltiplicandosi in modo esponenziale. 

E quando proviamo paura e ansia, i nostri processi mentali e fisici iniziano a cedere.

Abbiamo tutti provato la difficoltà di non riuscire a seguire un pensiero fino alla sua naturale conclusione in una situazione di ansia o la sensazione di non essere in grado di muoversi o di smettere di tremare dalla paura. Possiamo addirittura diventare paranoici, senza sapere a chi rivolgerci per un aiuto o di chi fidarci. È molto facile commettere errori quando ci ritroviamo compromessi. 

Perciò, come comunicare in modo efficace in periodi di caos e incertezza?

Che si comunichi con la famiglia, gli amici, i colleghi o il proprio Paese, ci sono delle buone consuetudini da seguire per rendere una comunicazione più chiara possibile.

1. Sapere che va bene provare paura, rabbia o frustrazione

Bisogna sapere che è normale provare paura in una situazione d’incertezza. L’ansia e addirittura la depressione sono risposte naturali a eventi negativi fuori dal nostro controllo, come afferma Johann Hari in questa brillante intervista per Vox

Spesso gli esseri umani reprimono le emozioni negative per tenerle a bada. Temiamo che possano sopraffarci, portandoci a fare qualcosa di cui potremmo pentirci o sovrastandoci. Ma interagendo in questo modo con i sentimenti potremmo peggiorare la situazione. 

Al contrario, ciò che dovremmo fare è riconoscere l’emozione, etichettarla (“oh, questa è paura, questa è solitudine, questa è rabbia”) e poi lasciarla andare. Trattarla come una nuvola passeggera, sapendo che dietro c’è sempre un cielo azzurro che presto riapparirà.

2. Non nascondersi dalle cattive notizie

Nascondersi dalle cattive notizie non è mai una buona strategia, ma è un riflesso umano. Siamo spesso come struzzi, nascondiamo la testa sotto la sabbia quando non vogliamo affrontare ciò che sarà. 

Ma è solo esponendo le cattive notizie alla luce del sole, apprendendo tutte le informazioni e i dati sulla portata ed entità di un problema, che iniziamo ad identificarne la soluzione e a formulare un piano per superarlo.

Amy Edmondson, professoressa e scrittrice, parla dell’importanza della sicurezza psicologica tra le persone. La definisce come “un clima in cui le persone possono sollevare dubbi, perplessità e idee senza timore di una ripercussione personale”.

Avere la volontà di affrontare delle cattive notizie assicura una comunicazione ben radicata nella realtà. 

3. Praticare l’ascolto attivo e l’empatia

È incredibilmente facile essere iperfocalizzati durante una crisi, offrendo dichiarazioni fugaci e taglienti per ottenere delle cose. Ma spesso ciò di cui hanno bisogno le persone in periodi incerti è qualcuno che le ascolti davvero. Questo è il momento per l’empatia. 

La gente deve poter essere in grado di fare domande sulle questioni che non conosce o non capisce. Ha la necessità di esprimere un’ampia gamma di emozioni che venga riconosciuta e rispettata, anche senza per forza condividerla o concordare con essa. 

È altrettanto facile, durante una crisi, governare dall'alto verso il basso, con il responsabile in carica che persegue un'agenda con determinazione e quelli sottostanti che seguono le indicazioni. Ma chiunque venga influenzato da una decisione dovrebbe avere voce in capitolo sull'obiettivo o sulla destinazione finale. 

Le crisi spesso comportano sacrificio, e non sempre la vita sembra essere l’altro lato della medaglia. Ascoltando ciò che le persone desiderano e di cui hanno bisogno, si può lavorare per un esito positivo per tutti. 

4. Essere chiari e trasparenti per guadagnare fiducia

Siamo consapevoli che paura e dubbio rendono difficile la concentrazione e la comprensione della complessità. Perciò è più importante che mai essere chiari nell'esprimere pensieri e parole. Utilizziamo frasi brevi e termini semplici. 

Atteniamoci ai fatti e alle prove a disposizione, e se non conosciamo la risposta a una domanda, diciamolo. È meglio proseguire quando si avranno maggiori informazioni piuttosto che dover tornare sui propri passi e smentire ciò che si è detto. 

È altrettanto fondamentale essere trasparenti circa le decisioni da intraprendere, spiegare perché sono importanti e quali benefici si credono possano apportare. La trasparenza può aiutare a instaurare fiducia, parte essenziale di una buona comunicazione. 

5. Scegliere una comunicazione che faccia crescere le persone

Immaginiamo la comunicazione come uno strumento con l’obiettivo di migliorare una situazione piuttosto che preservarne lo status quo... Come sarebbe? 

Io penso che una tale comunicazione incoraggerebbe la fiducia tra gruppi e permetterebbe di trovare un terreno comune per connettere le persone. Ci porterebbe a riconoscere esperienze umane condivise e dare spazio alla speranza. 

Avremmo un nuovo modo di porre domande per ispirare il pensiero creativo e delle prospettive fresche. Sarebbe inclusiva, offrendo a chiunque la possibilità di partecipare. E si focalizzerebbe ad aggiungere valore al momento, senza pretendere di più di quanto non si stia dando o trattenere qualcosa. 

La comunicazione efficace può essere complicata nei periodi migliori, ma comunicare durante una crisi comporta delle sfide maggiori.

Ma se fossimo più intenzionali e ponderati nel modo in cui ci approcciamo a una conversazione o a un incontro, avremmo migliori occasioni per intraprendere una tipo di comunicazione significativa, in grado di risolvere problemi e generare un maggior senso di comunità per il futuro.

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